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...La storia della nascita della Resistenza in Romagna,

così come narrata dai primi partigiani, dalla popolazione rurale e dai documenti d’archivio britannici e tedeschi (da noi scoperti e messi a disposizione di tutti fin dall’aprile del 2009).

 

Perché è ora di prenderne atto:

Sulla nascita della Resistenza in Romagna esistono da sempre

due memorie, entrambe antifasciste, e quindi "interne alla Resistenza", e tuttavia profondamente differenti[1]. 

 

 

Una prima memoria fa eco soprattutto alle narrazioni dei partigiani comunisti Ilario Tabarri (Pietro) e Guglielmo Marconi (Paolo)[2] e suffraga la teoria del "sonno emiliano-romagnolo" di Giorgio Bocca, sostenendo, in estrema sintesi, che «la “vera storia” della Resistenza» avrebbe avuto inizio nel giugno del 1944 «con la defenestrazione di Libero»[3], considerato un cattivo comandante e un pessimo partigiano.

 

La seconda memoria (in realtà di alcuni mesi più antica) 

ricorda i fatti molto diversamente, e di questa sono portatori, oltre alle popolazioni rurali[4], numerosi partigiani sia comunisti che non comunisti, quali Aldo Lotti (Dinola)[5], Umberto Fusaroli Casadei[6], Zorè Zecchini, Nadia Nanni, Nara Lotti ed altri[7].

 

Secondo questo filone di memoria, Riccardo Fedel (Libero) fu un abilissimo comandante partigiano, molto amato e stimato sia dai suoi uomini che dalla popolazione; ricercatissimo dai nazifascisti, perché, tra l'altro, promotore della prima zona libera d'Italia: il Dipartimento del Corniolo

 

Si tratta, a ben vedere, di un caso affatto particolare di «memoria divisa»[8] perché, pur essendo una contrapposizione tutta interna alla Resi­stenza (e quindi di stampo antifascista), non dipende da fattori politici o ideologici (è politicamente trasversale) e non riguarda un episodio circoscritto, ma un intero periodo (quello che va dall’ottobre del 1943 all’aprile del 1944) e un ampio territorio, strategicamente fondamentale per i destini bellici (gli Appennini tosco-romagnolo-marchigiani, a cavallo con la Linea Gotica orientale)[9].

 

Tuttavia, di questa «duplicità di memorie contrapposte»[10], non sempre certa storiografia ha avvertito i lettori (o è stata consapevole), e questo ha certamente influito sul suo generale grado di attendibilità[11].

 

Bisogna attendere il 1981, ad esempio, perché Dino Mengozzi (per primo), arrivi a teorizzare esplicitamente l’esistenza di due successive e distinte Resistenze nella Romagna appenninica: una iniziata subito dopo l'8 settembre '43 e terminata coi grandi rastrellamenti d'aprile del '44; un'altra "ripartita" nel giugno/luglio del 1944 e terminata neanche 4 mesi dopo, nel novembre '44, con la liberazione di Forlì.

 

D’altra parte, l’unica fonte documentale disponibile sul primo periodo della Resistenza romagnola, è stata a lungo rappresentata quasi esclusivamente dal cosiddetto “Rapporto Tabarri”, trasmesso e “validato” da uno scritto di Flamigni-Marzocchi (Resistenza in Romagna, La Pietra, 1969).

 

Questa circostanza ha finito così col far prevalere nella vulgata la prima delle due memorie.

 

Ma, paradossalmente, proprio grazie alla pubblicazione integrale del “Rapporto Tabarri” (avvenuta solo nel 1981), il dibattito scientifico su questi temi riesce a fare dei passi avanti, dapprima con la cosiddetta “scuola urbinate” di Lorenzo Bedeschi e Dino Mengozzi e poi, via via, con altri autori[12], pur essendo stato ostacolato da una oggettiva carenza di fonti coeve.

 

Infatti, il monopolio documentale del filone di memoria Tabarri-Marconi, appariva un ostacolo insuperabile:

 

I documenti [della Brigata Garibaldi Romagnola] riguardanti il periodo ottobre 1943-maggio 1944 vennero distrutti durante il drammatico ra­strellamento dell’aprile 1944 allo scopo di sottrarli alla affannosa ricerca dei nazisti e dei fascisti.[13]

 

Per diversi anni, e per ragioni che sarebbe interessante indagare, nessun tentativo di colmare questa lacuna attraverso l’esplorazione di altri archivi venne effettuato. Il che, alla lunga, ha alimentato una certa ripetitività nei commenti ed un certo grado di confusione, più o meno consapevole, tra storia e memoria.

 

Finché, nell’aprile del 2009, ad un convegno appositamente orga­nizzato dall’Istituto Parri di Bologna (diretto da Luca Alessandrini)[14], la Fondazione Comandante Libero poté presentare i primi risultati delle ricerche condotte negli otto anni precedenti in alcuni degli archivi “inesplorati”:

 

i documenti coevi reperiti negli archivi tedeschi e Alleati (citiamo, ad esempio, il Rapporto segreto dei generali di Brigata britannici Combe e Todhunter; alcuni rapporti segreti del Comando tedesco dell’Alpenvorland; il diario dell’ufficiale sovietico Sergej Sorokin, partigiano in Romagna)[15] e disponibili per la consultazione, in realtà, da almeno trent'annioffrono una narrazione dei fatti profondamente differente da quella tramandata soprattutto dal primo filone di memoria Tabarri-Marconi e consentono di definire una biografia di Riccardo Fedel, del Comandante Libero, finalmente completa e coerente.

 

E infatti, nei mesi successivi il dibattito storiografico si rianima, come testimoniato dalla celebrazione di altri due convegni analoghi a quello citato e dall’uscita di alcune nuove pubblicazioni[16].

 

Siamo ormai arrivati al dunque.

Va affermata la verità storica che emerge dai documenti e dalle testimonianze, analizzati secondo il metodo storiografico e non in base alle convenienze (proprie o dei propri "amici") o ad ormai ingiustificabili pregiudizi ideologici:

 

Il Comandante Libero è stato un grande partigiano 

Santa Sofia (col Dipartimento del Corniolo) è stata la "capitale" della Resistenza italiana per almeno 4 mesi, tra il dicembre 1943 e l'aprile 1944.

 

Il Partito Comunista Italiano diede un immenso contributo alla nascita e allo sviluppo del movimento partigiano in Romagna.

Fondamentale, per esempio, fu il ruolo di Antonio Carini (Orso), membro del Comando Generale delle Brigate Generali, che nominò Libero (iscritto al PCI) comandante della Brigata. 

 

Ma non fu il solo Partito a farlo (socialisti, repubblicani, anarchici, democristiani...). L'inquadramento della Brigata partigiana romagnola nelle Garibaldi non scalfì questo multi-partitismo dell'origine.

 

La cattura e l'uccisione di Antonio Carini da parte dei fascisti ed il conseguente subentro a Riccardo Fedel (Libero) di Ilario Tabarri (Pietro), concluse questa prima fase.

 

Fu però dopo appena quindici giorni di comando di Tabarri (a metà aprile del '44) che il costituendo Gruppo Brigate Romagna si sbandò, a causa di un massiccio rastrellamento nazifascista (noto come "il grande rastrellamento d'aprile") e di una "non felice" tattica di evasione impostata dal nuovo comandante.

 

Di tale disfatta, Tabarri non seppe o non volle mai assumersi completamente la responsabilità, scaricandola sulla presunta incapacità e viltà dei partigiani che da mesi combattevano in montagna e/o sulla presunta indegnità morale del loro primo comandante.

 

Le accuse di Tabarri (rese note in pianura tramite Savio - Luigi Fuschini), a valle di un'indagine, non vennero ritenute credibili dai comandi di pianura (Boldrini, Cervellati, Fusconi...), i quali - attorno all'11 maggio 1944 -richiamarono Libero, in quella fase rientrato in Veneto, al comando della Brigata Garibaldi Romagnola da ricostituire[17].

 

Ma Libero, in apparenza, non tornò: "scomparve"... 

dando così nuovo credito alle accuse mosse nei suoi confronti.

 

Oggi sappiamo cosa accadde in realtà:

Riccardo Fedel (il Comandante Libero) fu segretamente ucciso e il suo corpo fatto sparire, nella speranza di insabbiare tutto.

Ma il piano non funzionò, e da lì, allora, postumi e posticci tentativi di giustificare l'omicidio (così definito dall'autorità giudiziaria competente nel 2009), con false "sentenze" di morte e assurde accuse.

 

Questa è la storia che gli Istituti storici della Romagna "faticano" a raccontare, perché pesantemente influenzati o, in alcuni casi, addirittura controllati, da una mediocre casta di "ministri della verità", lasciati liberi (più per l'ignavia dei giusti che per propria forza) di ostacolare o impedire il libero confronto su queste (e altre) importanti vicende.

 

Occorre agire sul piano politico oltre che su quello storiografico.

 

Va finalmente riconosciuta ai Cittadini di Santa Sofia

la Medaglia d'Oro al Valor Civile

 restituita a Libero la sua qualifica di partigiano.

 

 

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