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Il Combattente

 

 

Il Blog della Fondazione Comandante Libero

 

Recensito dall'ANPPIA l'ultimo saggio di Giorgio Fedel

Un libro sulla Resistenza fornisce una nuova lettura di alcuni oscuri episodi

IL COMANDANTE LIBERO E I MISTERI SULLA SUA MORTE

di Jean Mornero

L'antifascista- recensione saggio Giorgio Fedel.jpg

Edito dalla Fondazione Riccardo Fedel, ha visto la

luce un altro libro (l’ennesimo potremmo dire, ma

non è così) sulla Resistenza, incentrato in particolare

sulla figura di un partigiano che ha fatto discutere, il

comandante Libero. Questa nuova testimonianza, dal titolo

“La prima Resistenza armata in Italia” si basa su documenti

britannici e tedeschi che aiutano a illuminare alcuni lati

oscuri della lotta di Resistenza in Italia.

Nella prefazione, Antonio Varsori, docente universitario,

scrive: “Per molti anni il dottor Giorgio Fedel si è prodigato

con ammirevole e costante impegno nell’obiettivo di

studiare la figura e l’azione del padre, Riccardo Fedel, noto

come il “comandante Libero”, il quale si pose alla guida tra

il ’43 e il ’44 di una delle prime e più attive formazioni partigiane

“garibaldine” operanti nell’Appennino romagnolo al

confine con la Toscana, le Marche e l’Umbria. Il comandante

Libero veniva ucciso nel ’44 in maniera drammatica

quanto oscura quale conseguenza di aspre divergenze di

natura prevalentemente personale fra esponenti dell’allora

Partito comunista”.

In altre parole l’autore, nella sua ricerca, non si è limitato

a riabilitare il ruolo del padre sulla Resistenza, ma grazie

alle fonti archivistiche di cui è venuto in possesso, ha

cercato di ricostruire anche le vicende del gruppo guidato

dal comandante Libero.

Non è questo il primo caso di vendette personali all’interno

dei gruppi che hanno combattuto la Resistenza in

Italia. Rivalità, risentimenti, odi sono esistiti anche tra

coloro che stavano dalla stessa parte e momentaneamente

alleati contro un comune nemico, il nazifascismo. Ma

certo la vicenda del comandante Libero, anche per il lungo

silenzio che l’ha circondata, rimane un episodio su cui

occorrerebbe un supplemento di indagini.

Per questo, suo figlio Giorgio Fedel, nel suo libro, ha

voluto ricordare che “nella sua formazione a un certo punto

si trovarono aggregati ai suoi partigiani alcuni alti ufficiali

britannici, i generali Neame e O’Connor e i colonnelli

Combe e Todhunter, fuggiti dai campi di prigionia dopo l’8

settembre 1943 e quindi finiti tra gli uomini di Libero. Rientrati

in Gran Bretagna nella tarda primavera del ’44 questi

ufficiali avevano fornito ai loro superiori e allo stesso

Primo Ministro Winston Churchill importanti ed entusiastici

rapporti circa l’azione della Resistenza in questa area,

in particolare del gruppo di “Libero”, sottolineando come

queste formazioni partigiane avrebbero potuto svolgere

un ruolo fondamentale nelle operazioni anglo-americane

contro i tedeschi, accelerando la positiva conclusione della

campagna d’Italia”. Esagerazioni, notizie mirate a gettare

una nuova luce sulla figura di Riccardo Fedel? Tutto è

possibile, ma va detto che il libro di suo figlio Giorgio non

si limita a raccontare una Resistenza pro domo sua perché

è arricchita da documenti e testimonianze che appaiono

inoppugnabili. In una nota è lo stesso Giorgio Fedel, prima

della sua scomparsa, a ricordare che questa sua battaglia

non era mossa solo da ragioni familiari e affettive, ma

anche da motivazioni scientifiche e politiche. Il libro, come

sottolinea il professor Varsori, “offre un’importante visione

di uno dei momenti più significativi della storia d’Italia

nella seconda guerra mondiale”.

Giorgio Fedel, dopo aver posto l’indice contro i troppi

buchi della storiografia, pubblica un interessante diario del

comandante Libero, ricostruito meticolosamente e quindi

molto vicino al testo originale. Ė un “diario di viaggio” che

merita di essere letto e che arricchisce il lavoro di Giorgio

Fedel. Racconta con puntiglio cronistico e uno stile gradevole

e scorrevole le sue peripezie nei tre anni di confino

patiti. Il comandante Libero fu condannato a tre anni di

confino il 22 novembre del 1926 con destinazione prima

alla colonia di Pantelleria e poi a quella di Ustica. In chiusura

del suo lungo calvario, il comandante Libero annota:

"Avrò fatto, oltre al confino, 112 ore di viaggio e di manette

delle quali 54 di mare e 1662 ore di carcere, cioè, in totale

1774 ore di privazione completa di libertà prima di arrivare

a usufruire di questa privazione parziale, pur essa dolorosa,

alla quale ho diritto grazie alla premura della Commissione

provinciale di Venezia”.

Agli antifascisti, in quegli anni bui, capitava questo e

anche di peggio. (J.M.)

tratto da

«L’Antifascista. Mensile dell'ANPPIA Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti», anno LXI, nn. 9-10, Settembre-Ottobre 2014, p. 23

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